Musica di sottofondo. Jorge Méndez, Silhouettes. E’ quella giusta, mi chiedo, per raccontare il Grignone? Non so ancora, lo scoprirò strada facendo. Passo dopo passo, come sempre, niente di premeditato, se non la meta. Quella, si, bisogna averla ben chiara in mente. E quella croce, oh si se è ben chiara. Tutta la mattina davanti, complice un cielo azzurro senza nuvole, ben disegnata sulla cima, i soliti bracci ad indicare direzioni opposte e contrarie che poi, in fondo, puntano sempre all’insù. Come il naso di un bambino a guardar le stelle, o un aereo che passa lasciando una scia, o il sole che se lo guardi troppo fa male. O fronde d’alberi sopra la testa, i raggi del sole a filtrare in mezzo e ad indicare la via, un sentiero o una traccia di esso, passi passati da qualcuno già più su.

Quella croce in cima, meta e traguardo di una fatica che – a detta di molti – vale la pena fare. Una fatica che ha un nome ben preciso, “muro del pianto”, un nome un programma, una promessa, una sfida, una voglia di mangiarlo, quel giorno, fame e sete di ramadan. Non c’è Dio che ti aiuti, lì, ma solo gambe e forza di volontà.

E fu lì, in quel momento, che capii un sacco di cose”. Così avrei potuto iniziare. Ma in realtà non avevo capito proprio niente, o forse non c’era niente da capire. C’era da camminare. Punto. Ma quella frase è bella, fa un certo effetto, dà una certa solennità ad un momento che, purtroppo o per fortuna, non arriva. E la musica non cambia. Gira “Shades”, adesso.

Un rumore di carta stracciata. Non andiamo da nessuna parte, così.
Cambio di passo.
Testa bassa.
Gocce di sudore copiosamente scivolano su pelle nuda.
All’erta i sensi, strette le mani sulle impugnature di questi bastoni, per chi li ha.
Ricordo lontano la salita nel bosco, la chiesetta vicino al fiume, la fontana d’acqua fredda a placare una sete che ancora non c’era.
Il Rifugio Antonietta ed il caffè bollente, la sambuca delle 10.30, una fetta di torta per dare carburante al motore. O è solo gola, chissà.

“La vedi quella croce, lassù?”
“Si, perché?”
“Perché per tutto il tempo la vedrai e non ti sembrerà di arrivarci mai finchè, ad un certo punto, non ci sbatterai con il naso contro”
“Sembra bello. Andiamo?”
“Andiamo”

Tutto molto vero, quella croce che ti guarda beffarda (non è vero, ma è così che me la immagino) mentre arrampichiamo, praticamente, su questo muro dalla pendenza oscena, ci sono dei paletti che in assenza di neve non hanno senso come non ha senso tutta questa fatica, se dimentichi per un momento – anche solo per un momento – perché stai facendo tutto questo.

“Ci hanno promesso grandi cose e grandi panorami… si ma, da lassù”, dicevo una volta salendo al Resegone. E’ lo stesso anche oggi. Lassù bisogna prima arrivarci e ci accontentiamo anche solo di arrivare in cresta, quella cresta che ancora caparbiamente divide l’estate dall’inverno, neve da una parte e arsura dall’altra, le Grigne in tutta la loro maestosa e severa bellezza, non è per tutti, bisogna volerla e meritarla.

“Avresti dovuto vederla, quest’inverno, con i muri di neve. Faceva quasi meno paura”
“Dai. Bello.”

Ed invece adesso è estate, la neve resiste a nord, noi saliamo in estate, ecco, perché vogliamo sudare e faticare per bene, cuocerci con il sole alle spalle, una processione di formichine così piccole su questo muro del pianto che non consola e non dà pacche sulle spalle.

Ma… per quanto lunghi anche i muri ed i pianti finiscono.
Si sbriciolano le pietre, si asciugano le lacrime, e la vita va avanti, su un filo di cresta che era un pensiero pensieroso qualche giorno fa. C’è sempre quella croce davanti, uno dei bracci ad invitarci a sé, l’altro ad indicare di proseguire. E dall’altra parte il Rifugio Luigi Brioschi, 2.410 metri sul livello del mare, numero e nome ben disegnati a pennello sulla facciata bianca. Fa bella mostra di sé, sulla vetta del Grignone e dirimpetto alla Grignetta che guarda, dall’altra parte dello sguardo, ed invita e respinge, e stuzzica ed ammalia.

Eccole le nuvole, a risalire da un canale e ricadere su se stesse, una risacca senza rumore, non ci bagnamo, non ci preoccupiamo, scendiamo e rotoliamo di stanchezza e ripieni di bellezza.

Verso valle, la croce alle spalle. Sembrava così lontana, stamattina.
Sembra così lontana, adesso.

“Allora, com’è andata sul Grignone?”
“E’ stato bello, si. Devo ammettere che è stato bello.”


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