Corrono veloci le nuvole, lì su Resegone, corrono e cadono giù, si rialzano, riprendono a correre, si inseguono quasi in un groviglio di particelle dense, ma così dense, che alla fine scompare tutto. Cima, croce, rifugio, sentiero, tracce. Nuvole. Fitte come una nebbia, ci ritroviamo ad andare alla cieca, a seguire impronte di altri senza sapere dove portano. Le calpestiamo alla rinfusa, seguendo le più probabili o forse le più nitide o le più giovani, saliamo e sudiamo, maniche corte e guanti, la giacca nello zaino perché tanto, ormai, ci siamo quasi.

Le vedevamo da laggiù, quelle nuvole veloci sulla cima del Resegone, enne volte siamo saliti ma dalla parte opposta, là da dove il lago ci guarda le spalle come un buon amico che si prende cura di noi e dei nostri passi. Le vedevamo da laggiù, mentre ci lasciamo alle spalle la Costa del Palio e le dolci forme arrotondate dal vento e dal tempo in un saliscendi che, non fosse per il vento che arruffa i pensieri, sarebbe stato anche piacevole. Nuvole in cui infilarsi svelti sperando di trovare, dall’altra parte, il sole. Eh già. In qualcosa bisogna pur sperare, altrimenti cade tutto, no?

Abbiamo parecchia strada da fare oggi e la vogliamo fare tutta. Abbiamo tanto sole da sperare e lo vogliamo sperare tutto. Abbiamo tanto da dirci e altrettanto da stare in silenzio, le mani sprofondate nelle tasche delle giacche, un tremore nell’aria ad ogni raggio di sole che riusciamo ad agguantare con la pelle nuda. E le nuvole, lassù, corrono veloci ad illuderci del sole, alla croce. Dal mare aperto ci infiliamo in una barriera corallina fatta di alberi sporchi di neve, scrocchiano i passi sui cristalli di ghiaccio, scivolano le scarpe sul sentiero sbiancato. Abbiamo camminato tanto e siamo saliti poco, il bello inizia adesso, stringiamo i denti, socchiudiamo gli occhi, annusiamo l’aria e ci affidiamo all’istinto che ci spinge a salire come siamo abituati a fare, ormai, da tempo. Più saliamo e più godiamo. Più sudiamo e più in fretta ci asciugheremo, lassù, vicini al sole.

In ritardo, oggi, ma arriva. Arriva sempre, lui, anche nella più grigia delle giornate. Basta aver pazienza ed aspettare.

Nel frattempo un sorso di vino, un morso al panino, un po’ di calore nel rifugio che è nostro, oggi, conquistato a fatica nella speranza di un panorama che tarda ad arrivare, oggi, ma arriva, alla fine. A braccetto con il sole, li vedi sbucare da dietro l’angolo o dietro l’ultima nuvola, sornioni e pacifici fischiettano ed incedono, traballanti su una giornata che poi, alla fine, così male non è.

E scopriamo tutto quello che, salendo, abbiamo dimenticato: i panorami immensi, le valli e i monti lontani, i prati verdi e gli alberi in fiore, i gradi che aumentano, le giacche che scivolano via, i fiori che sussurrano la primavera che è lì, ormai. La sentiamo nell’aria. Scrolliamo le spalle. Cadono gocce di nuvole che erano rimaste abbarbicate al tessuto, si inforcano gli occhiali da sole, ci guardiamo alle spalle, la croce è lì dove la ricordavamo e dove non la vedevamo, qualche ora prima, mentre salivamo su.

C’è una porta, messa lì per caso, socchiusa, in legno come le porte di una volta. Non serve bussare, non c’è campanello, puoi entrare ed uscire quando vuoi. Ti affacci dentro – o forse fuori – e vedi dì là una prospettiva nuova. La montagna dentro casa o forse fuori. Dipende da dove pensi di essere. Da dove vuoi essere. Un non-sense, un gioco, uno scherzo. Una porta, semplicemente.

L’inatteso. Il punto al posto della virgola. Un segno blu su un errore non così grave, in fondo.

Bussiamo. Entriamo. Ci accomodiamo. Si sta bene qui, oggi, con le nuvole che passeggiano sornione sulla cima dove eravamo qualche ora fa. Ed è fresca l’erba su cui ci sediamo, le mani a stringere la primavera che finalmente arriva. Era solo questione di pazienza, no?


Le foto più belle della giornata


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