La neve c’era, ma non la vedevamo. Non da giù, almeno, lì da dove partivamo per inanellare un passo dopo passo questa collana elegante. Da un passo muovemmo i primi passi, marciavamo eleganti ed incuranti del fiato che non voleva saperne di rompersi, eleganti ed incuranti delle rocce che sgambettavano tra i nostri piedi, delle radici che spuntavano come fiori senza boccioli, dei rami calati ad accarezzarci viso e gambe - quasi - delicatamente..

C’era la neve, in quel giorno caldo di inizio febbraio, ma non la vedevamo ancora sotto i nostri piedi. Sbagliato l’abbigliamento, maglie e pantaloni troppo caldi per un inverno troppo primavera, calze di lana ad inumidire i piedi, scarponi troppo alti per ciò che stavamo calpestando. Sbagliato il sudore che gocciolava su collo e viso, dovevamo avere guanti che coprono le mani ed invece erano canotte a scoprire la pelle delle braccia.

Una piccozza fa capolino da uno zaino, ramponi e ramponcini attendono quieti il loro turno nello zaino, una chiamata alle armi che non arriva. Non ancora, almeno. “State buoni, abbiate fede, son sicuro toccherà anche a voi!

Sgroppa il Grem, superata la Casera a metà strada, fin lì ci arriviamo sereni e sudando solo per il caldo e non per la fatica. La maggior parte, almeno. Ci son quelli che, nell’attesa della fatica, faticano lo stesso. “Saran più pronti dopo”, mi dico io.

Intravediamo la prima neve, si scolora di terra il paesaggio, scrocchiano gli scarponi sul bianco sporco e misto fango, non è inverno questo, è uno scherzo, un gioco di bambini che mescolano carte e stagioni come viene. Come a shanghai, le lasci cadere giù e vince chi arriva all’estate, ché quella arriverà, come arriva sempre.

S’inarca la schiena del Grem, ci mostra la cresta, si gonfia da pavone la coda, la croce s’illumina ai raggi di un sole che illumina ma non scalda più, non così tanto come prima, quando le gocce di sudore si rincorrevano tra peli e pori. C’è quella lunga cresta che mostra come ad una finestra bifronte due mondi e due stagioni, a sinistra la primavera inoltrata, il grigio ed il marrone, qualche sprazzo di bianco, il resto è roccia nuda. A destra l’inverno, quello che esiste e resiste ad una certa altezza, lì dove il fiato si fa rado, lì dove le rocce invece si nascondono sotto il bianco e solo le più ardite mostrano il capo al cielo.

Arriviamo alla croce, baci e abbracci e strette di mano e pacche di rito sulle spalle: si respira meno ma si respira di più, possiamo finalmente guardare dall’alto in basso ciò che abbiamo fatto ed orgogliosi e fieri riempirci gli occhi di ciò che ci circonda. Siamo sul Grem e guardiamo l’Alben, l’Arera, il Menna: quelli vicini e a portata facile di sguardo. E la Piazzotti, la Piazzotti che quasi ce ne dimenticavamo: ultimo sforzo ed ultima gioia, ultima salita ed ultima discesa, ci andiamo per sentirci più vicini all’Arera e per sentire le gambe stanche quanto basta per meritare il riposo.

Bella, la Piazzotti, meno gente del Grem, siamo solo noi e nessun altro, il cielo sopra, la terra sotto, la sua crocetta dignitosa che nulla invidia a decine d’altre. Un morso al panino che la fame si sente, si riprende la discesa, si dimentica la fatica, un pendio infido ma ben battuto, “occhio a dove mettete i piedi che scivolare giù è un attimo”, non è sentiero quello che stiamo scendendo ma flebile traccia tracciata da chissà chi.

Siamo al passo del Grem, siamo affamati ma teniamo duro, puntiamo al bivacco che sarà chiuso, c’è il sole oggi ed è bello, due panche, due tavoli e s’apparecchia, “una polenta al tavolo due!”, “un pizzocchero al tavolo uno!”, “una birra media chiara al banco del bar!”, avremmo voluto sentire. Invece sono le nostre voci a riempire il silenzio di questa valle poco frequentata, altre cimette ci fanno l’occhiolino ma dopo pranzo, grazie, anche no, si scende e basta. E questo sole, poi, è così bello sulla pelle che quasi vien voglia di restarci, in questo bivacco chiuso.

E poi, d’improvviso, quasi per sbaglio: si raffredda il sole, si rinfresca l’aria, s’abbassa la temperatura. Passa l’effetto sambuca, la pelle diventa d’oca, il piumino reclama l’abbraccio, le ginocchia tremano al pensiero della discesa. Ci infiliamo di nuovo nel bosco, le temperature seguono un elettrocardiogramma da 90 battiti, caldo al sole e freddo all’ombra, si richiude il bosco sopra di noi, rivediamo i tetti delle case, rivediamo il passo e i primi passi che da lì abbiamo mosso, quella mattina, puntando il naso all’insù.

Il resto è stanchezza e birre fresche, cioccolate calde e piadine, gioia e rimpianto per qualcosa che anche stavolta, come tutte le volte, finisce. Uno sguardo fuori dalla finestra: il Grem, l’Arera, il Menna. Cambia la luce, scende la sera, un ultimo sorso di birra e fuori non si vede più.


Le foto più belle della giornata


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