La prima croce. Quella dei Pastori, la chiamano. La vediamo spuntare all’improvviso, dagli alberi, alta, maestosa, nell’aria immobile e fredda di questa mattina di gennaio. Avevano promesso sole, e sole è stato. Sebbene velato da nuvole dalla consistenza sciapa come un piatto di pasta senza sale. Prima pausa vera dopo una salita infame, asfalto, poi terra, ghiaia, sassetti franosi dal colore grigio topo. Una curva dopo l’altra, un passo dopo l’altro, ci arriviamo, a quella Croce dei Pastori che era prima tappa e primo momento per guardarci davvero negli occhi e capire, intuire, scommettere, su chi è più stanco che quasi non ce la fa più.

Culo a terra, zaini appoggiati sull’erba, qualche foto. Respiro pesante che via via si acquieta, sbucano barrette e mezzi panini addentati al volo, spunta tabacco ed accendini, possiamo riposare, adesso. Per un po’.

Ci aspetta un traverso gentile, una mano tesa verso la stanchezza, c’è solo da camminare e respirare normali, senza affanno e senza ghiaia a scricchiolare sotto i piedi. Docili saliscendi addomesticati in fretta, la nostra meta nascosta da un monte senza nome ma abbastanza ingombrante da non farci vedere dove stiamo andando. Fino all’ultima curva, all’ultima salita, fino a quella piana bucherellata dalle zampate delle talpe, stiamo camminando su una rete di sentieri sotterranei che chissà se ci cadremo dentro, noi e il nostro peso fatto di zaini e pensieri.

Si erge maestosa e fiera la seconda croce, quel Pizzo Formico che è meta a metà della giornata, quella croce così alta da sembrare di poterla toccare con un dito, ad allungare il braccio. Ferro lavorato e traforato, di bella fattura, elegante e rassicurante nella sua altezza. Pizzo, lo chiamano, e pizzo lo è veramente, un dito proteso verso il cielo ed un altro verso valle, neve a nord ad imbiancare senza troppa convinzione pendii scoscesi che scivolano giù veloci.

Nuvole in lontananza, non abbastanza basse da coprire quello che oggi andava visto, un panorama da abbracciare ad occhi spalancati, non basta una foto per ricordarlo tutto. Il sole non scalda abbastanza, meglio scendere, la fatica è fatta. O forse no.

Iniziano le creste, la chiamano Montagnina, sarà pure -ina ma sudiamo ancora, Sali e scendi, sali e scendi, sali e scendi almeno sette volte che non ne possiamo più, i piedi scivolano sulla neve pestata e su rocce puntute che alzano la testa, sgambetti mal riusciti per piedi ben piantati su un’idea, una traccia, un anello da chiudere ed un rifugio da raggiungere, che lo vedi lì, più in basso, e chissà quando ci arriveremo.

Finchè non ci arriviamo, dopo una discesa veloce ed una veloce risalita, altro saliscendi, altra sudata, un panino, un piatto caldo, una birra fredda, un thè che il sole, oggi, non riesce a mantenere caldo. Niente fulmini sul Parafulmine, per fortuna nostra, solo sole poco convinto ed il freddo del pomeriggio che arriva troppo in fretta e molto in fretta chiede di tornare a camminare.

Siamo a metà della giornata, siamo a metà della camminata, una traccia flebile da inseguire, architettata bene tra prati erbosi e poi il bosco, appoggiamo i piedi su rami spezzati e terra calpestata, occhi bassi a cercar le tracce, è un attimo perdersi ma è un attimo ritrovarsi. Proseguiamo quasi in piano, sembra che non scendiamo mai, la valle a valle e davanti ai nostri occhi monti e creste e pizzi ed alberi rotti o forse solo stanchi da lasciarsi andare giù.

Scende la traccia, scende la sera, i conti sono ben fatti e non servono le torce, le prime case si affacciano sul nostro cammino, s’allenta la tensione, si rinforza la stanchezza, ne abbiamo fatta di strada, anche oggi, amici miei.

Una giornata strana, dal sapore buono, sul Formico eravamo già stati ma abbiamo variato il tema, scambiato qualche nota, ribaltato il pentagramma da chiave di violino siamo andati in chiave di basso. Che poi, ognuno la legge a modo suo.

Pensavi di non farcela, ma ce l’hai fatta.
Pensavi di mollare, ma hai stretto i denti.
Pensavi che la croce non l’avresti raggiunta, ma ti ha raggiunto lei.

Marasmi di pensieri.
Accrocchi di passi.
Cacofonia di voci.
Gomitoli di sentieri.

Dovevamo arrivarci. Ci siamo arrivati.
Un po’ più vicini, un po’ più lontani, un po’ più noi.

La Croce dei Pastori ci guarda nella sera, da lassù, mentre si illumina quasi a segnare la via.
E sembra sogghignare.
Ed io sorrido.


Le foto più belle della giornata


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