“Decine di altri erano i posti dove i nostri piedi, quella mattina, sarebbero potuti essere.”
Tra le coperte calde di una notte appena passata, infilati in un paio di ciabatte che spostano peso e giornata dal letto al divano e dal divano al letto, dentro un paio di scarpe eleganti a girar per negozi di un’elegante città, vetrine piene di cose che vorremmo comprare ma di cui non abbiamo bisogno.
Potevano essere quasi a mollo nell’acqua calda di un complesso termale, un accappatoio bianco pulito e profumato appoggiato addosso, un costume striminzito a coprire lembi tratti di pelle d’oca per un freddo che è fuori, si, ma anche dentro, un po’.
Potevano essere in un paio di scarpe da ginnastica a correre in un parco annebbiato dal mattino, o a passeggio a fianco di quattro zampe che annusano il mondo senza capire più di quello che serve. Che è ben poco, a pensarci bene.
Decine di altri erano i posti dove i nostri piedi, quella mattina, sarebbero potuti essere.
E invece erano là, stretti e costretti in un paio di scarponi dalla suola lisciata da tempo e passi, a camminare su foglie, prima, su rocce, durante, e finalmente, la neve. Bianca. Immacolata. Croccante dal freddo della notte prima. Un passo avanti e mezzo indietro su quella salita che si scolora dell’autunno per colorarsi d’inverno.
Lo sentiamo, quel rumore familiare al ricordo ma che non sentivamo da un po’. Un’estate in mezzo, per l’esattezza, a farci dimenticare quant’è bello lo scrocchiare della neve sotto i piedi. C’è una traccia da seguire, qualcuno il giorno prima ha camminato la nostra stessa strada fino al Pizzo. Grazie, chiunque tu sia, per averci risparmiato fatica e ragionamenti sul punto cardinale da seguire. Grazie davvero. Ci hai portato in cima, hai guidato i nostri passi sul saliscendi che è più sali che scendi fino a quegli ultimi cento metri che valgono la fatica di una giornata intera. Cento metri alla croce. Chissà che sapore avrebbe la cima se non avesse una croce, per piccola che sia, ad aspettarci su.
Saliamo non da soli ma senza sole, fa già abbastanza caldo anche così, la neve riverbera una luce che arriva da ovunque senza indovinarne il punto esatto. Nuvole alte. Un sipario abbassato a metà per farci godere di un panorama che no, sinceramente, quella mattina non ci aspettavamo.
Il Pizzo è… un pizzo. Corretto il nome, mai più giusto di così. Qualche strapiombo ma nulla di che, se non guardi giù, se ti concentri sui passi del compagno di viaggio davanti e sul respiro nelle orecchie del compagno dietro. Un ultimo sbuffo di fatica vaporosa. Ed eccola lì, una crocetta piccola che è punto d’arrivo ma anche d’inizio.
Inizio di quella discesa che, chiunque tu sia, il giorno prima non hai fatto e tocca a noi, oggi, tracciare per chiudere un anello che chiede di essere chiuso e noi lo chiuderemo, quant’è vero che la Compagnia si chiama così. Servono gambe forti, baricentro basso ed immaginazione per indovinare cosa c’è sotto quei centimetri di neve. Sassi, rocce, forse terra o foglie morte. Il sentiero si indovina, lo annusiamo come animali, seguiamo una pista che abbandoniamo, tagliamo, accorciamo, cuciamo un vestito nuovo a questo anello che solo con la neve puoi permetterti di disegnare.
A piccoli passi e a piccoli obiettivi scendiamo veloci, scarpe fredde, piedi bagnati, ghette improvvisate, culi a terra, scivoloni infantili su una neve che sembra messa lì apposta per essere camminata. Bello, così.
Tagliamo alla baita, accorciamo alla Baitella, mangiamo un boccone mentre il sole si alza sul versante di fronte, il sipario sale completamente e completamente naufraghiamo nella neve alta e nel mare di montagne che si apre davanti a noi. Trecentosessantagradi di meraviglia. Ce lo meritavamo, in fondo, dopo tutta la fatica che abbiamo fatto.
Poi l’ultima salita, la più amara, a pancia piena e gambe fredde, via la giacca, testa bassa, bastoni ben piantati nella neve, vai avanti tu, vado avanti io, dammi il cambio, camosci scappano veloci ed agili su questa neve che anche basta, forse, per oggi. Siamo alla forcella, da qui non si sale più, promesso, ragazzi.
Si scende. Veloci. Neve immacolata, i primi passi di questa nevicata sono i nostri. Facciamo traccia per chi verrà dopo di noi. Lasciamo un segno. Lasciamo un ricordo mentre altri ricordi ce li portiamo dietro noi, per noi e per i giorni a venire.
Ritroviamo il bosco e poi la strada ed i tetti delle case ed il paese e le auto parcheggiate che ci riporteranno a casa.
Decine di altri erano i posti dove i nostri piedi, quella mattina, sarebbero potuti essere.
Ma non c’era posto migliore dove stare se non su quel pizzo che avevamo pensato e a cui avevamo rinunciato qualche tempo fa. Lo volevamo, fortemente, e fortemente l’abbiamo raggiunto.
“Ti racconterò la storia, figlio mio, di quando decidemmo di salire al Pizzo Badile, io e un pugno di buoni amici.”
“Decine di altri erano i posti dove i nostri piedi, quella mattina, sarebbero potuti essere…”
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