L’attesa della domenica e la scalinata di Monesteroli

Dobbiamo aspettare domenica per sentire il calore del sole sulla pelle e le prime gocce di sudore, quelle vere, scivolarci addosso. Rotoliamo in basso, verso il mare, lungo la celebre scalinata di Monesteroli, un inno ardito all’ingegno umano, alla resistenza della natura, al non piegarsi alla geografia natale, che ci colloca a picco sul mare invece che tra dolci colline o su una spiaggia sabbiosa.

Più di 1.100 scalini, tutti in pietra, posati con precisione e ostinazione, l’uno accanto all’altro, l’uno sopra l’altro, in un eterno invito alla discesa e alla risalita. Ogni gradino è un passo verso il mare, ma anche verso il ritorno. 'La fortuna è un fatto di geografia', cantava Erriquez della Bandabardò. Noi lo capiamo bene, scendendo e salendo, lasciando che il corpo e le gambe si facciano gravi di gravità, mentre ci lasciamo alle spalle la fatica dei quasi ventotto chilometri del giorno prima.


Sabato: il risveglio nel Santuario di Soviore

Aspettiamo la domenica senza sapere come sarà e ci svegliamo, ancora, questa mattina di sabato. Il rintocco delle campane delle sette accompagna lo scrosciare impetuoso della pioggia sul tetto del Santuario di Soviore, dove abbiamo trovato riposo dopo la prima giornata. Non è il mare, là fuori, ma sembra quasi di sentirlo. Piove. Piove forte. La previsione sbagliata ha portato la pioggia tra gli alberi dei quattrocento metri e non sembra volerci abbandonare. Ma se ne andrà, al ritmo dei nostri passi del mattino, al battito delle bacchette sull’asfalto. Piccolo esercito di gambe arzille che spera presto di calpestare terra e foglie bagnate.

Smette di piovere, finalmente. Si sciolgono le gambe e le lingue. Il mare sciaborda sotto di noi, ne respiriamo il profumo, ne pregustiamo il sapore, che però non assaporeremo davvero fino a domenica, alla fine della scalinata. I gabbiani stridono in alto. Noi camminiamo.


L’incanto delle Cinque Terre

Le Cinque Terre sono magia pura. Boschi e sentieri, vigneti arditi rubati alla pendenza, rocce ricoperte di muschio e tempo. Arance, limoni, roveti, peschi che si agghindano a festa per la primavera che verrà. La sentiamo poco, noi. La sente forte, la Natura. Nascosta dai nuvoloni grigi e bassi, che ci avvolgono stretti in un abbraccio che sa di genesi del mondo. E noi camminiamo.

Monterosso, Corniglia, Vernazza, Manarola, Riomaggiore. In ordine sparso o in ordine preciso, le Cinque Terre sono cinque, da qualsiasi parte le guardi. Dalla terra o dal mare, cambia la prospettiva, ma non il numero.


Un cammino che non cambia

È passato un anno dall’ultima volta che siamo stati qui. Poco cambia, in un anno. Poco cambia in questa terra che si sgretola pian piano a ogni pioggia, a ogni ruscello che nasce e muore in mare, a ogni albero che si abbandona alla sua sorte, a ogni muretto a secco eroso dall’acqua che filtra e si infiltra. È vita finché non diventa fine. E noi camminiamo.

Perché questo lo sappiamo fare bene, nonostante le ginocchia scricchiolanti e le schiene che si incurvano, nonostante le scivolate nel fango e i piedi immersi nei guadi dei ruscelli, nonostante i chilometri che si fanno sentire, passo dopo passo. Questa terra è poco conosciuta, se non da chi ha avuto la fortuna di respirarla per la prima volta qui.


Verso il tramonto e oltre

Corniglia, Vernazza, Manarola: schizzi di colore sullo sfondo del mare. La primavera ce l’hanno dentro, almeno queste case qui. Finestre aperte alla gioia del mare e delle onde, che sbattono e ritornano, consumando scogli e spiagge in un eterno ciclo di vita e morte. Un ciclo che avrà fine, un giorno, ma noi non ci saremo più. Nel frattempo, camminiamo.

Sospesi e leggeri di testa, un po’ meno di gambe mentre scioriniamo gli ultimi chilometri. Il Santuario di Montenero gioca a nascondino con le curve delle valli secondarie, Riomaggiore ci guarda da laggiù. Il santuario si nasconde e si svela, ancora e ancora, fino all’ultima curva, fino all’ultima nuvola che copre il sole del tramonto. Arriviamo stanchi. Stremati. I piedi gonfi e gli occhi pieni di emozione. Il mare si nasconde dietro un velo di nubi, ma sappiamo che c’è.


Un brindisi alla fine del viaggio

Ringraziamo tutte le Nostre Signore che hanno scandito il nostro cammino, i quasi ventotto chilometri percorsi senza intoppi, i sentieri incrociati e le volte in cui abbiamo pensato di mollare. E non camminiamo più.

Il treno sferraglia su una linea dritta e artificiale. Il mare muggisce nel buio della sera. Spumeggiano bianche le ultime onde di questa giornata da camminanti. Le luci forti della carrozza riflettono ombre sui finestrini.

È notte, ormai, anche se non volevamo che arrivasse mai.
Il tramonto è andato, il buio incombe.
E tintinnano i bicchieri di questo brindisi.
Una, due, tre, quattro. Cinque volte brinderemo.
Al sabato. E alla domenica, quando, scendendo 1.100 gradini, sentiremo il sole dentro di noi.


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