Risaliamo da valle a monte, sfidiamo la gravità , ronza il motore su questi 18 tornanti che ci portano in su.
1. 2. 3. Quattro. Cinque. Perdiamo il conto. Otto. Nove. Guardiamo intorno dai finestrini appannati, scelte la temperatura, una cascata dall’altra parte della valle. Acqua che scende. Acqua che cade. 17. Diciotto. Arriviamo, parcheggiamo, tace il motore, silenzio dei monti delle 9 del mattino. Siamo soli. Una centrale elettrica ci accoglie, vetusto ricordo di ingegneria passata. Girano le pale, si spengono le luci in paese. E’ giorno, ormai.
Non vediamo più la cascata ma sentiamo acqua scorrere. Da su a giù. Scarponi, gusci, piove? No, è solo un’impressione. Ci spogliamo, fa caldo mentre attacchiamo la salita, una mulattiera ben costruita e gradini di pietra e muschio sui tronchi degli alberi, qui dove il sole non batte. Alla nostra sinistra un torrente, acque che scorrono ed il canto che fa è bello, stamattina, mentre iniziamo a sudare. Riconosciamo quel fremito di caldo che ci scorre sulla schiena, non c’è sole, nuvole basse, grigio intorno.
E marrone. E rosso. E verde.
Esplode la natura in questa valle che si scopre pian pianino, casupole silenziose, non è più tempo per stare quassù. Finita la stagione, si torna in paese.
Non esce fumo dai comignoli, non brucia legna nelle stufe.
Una madre ci viene incontro sul sentiero. Un bimbo a piedi. Un bimbo in braccio. Si resiste, da queste parti, all’autunno che si gira attorno alle spalle uno scialle d’inverno. Eppure i sorrisi sono belli e genuini anche sotto le nuvole basse. Chissà cosa si prova a vedere qualcuno, oggi, con questa giornata così.
Camminiamo.
Intorno è un’esplosione di foglie e alberi e funghi e rigagnoli d’acqua e cascatelle e muschio sulle rocce di questo sentiero che porta in su. Puntiamo il lago, non lo vediamo, ma sappiamo che c’è. Da qualche parte, lassù. E’ lì che stiamo andando, è per il lago che stiamo camminando, oggi. Non lo vedremo, una consapevolezza remota sapientemente miscelata ad una speranza fievole che, una volta lassù, saremo sopra le nuvole e lo vedremo, il lago.
Alto il morale della truppa, ci si perde in discorsi che fatichiamo a seguire, ma non il sentiero intagliato nella roccia, tornanti stretti a salire, da qualche metro in su guardiamo quelli che arrivano da giù. Incrociamo sguardi, incrociamo stanchezze, ci spingiamo forte a proseguire.
Metro dopo metro, rivolo dopo rigagnolo, cascata dopo caduta. Saliamo. Case abbandonate a se stesse. Ricordi di vita che era. Eppure tengono, queste mura, resistenti al tempo ed alle stagioni. Pietre ben incastrate l’un l’altra. E stanno in piedi.
Saliamo, continuiamo a salire, sentiamo nell’aria il profumo dell’acqua, di quell’acqua di inizio autunno che sa di selvatico, proviamo a riconoscere le essenze. Le nuvole basse ci tappano il naso ma non la bocca. Si chiacchiera, da queste parti, segno che la fatica non è tanta, in fondo. Gambe forti, piedi saldi, sorrisi spontanei. Sentiamo addosso il salmastro del lago, lo vediamo, finalmente, ma non vediamo oltre. Nuvole basse, oggi, niente cime e niente vette, niente picchi e niente croci.
Proseguiamo.
Dicono che c’è un bivacco più avanti, sulle sponde di un altro lago. Il secondo. Attraversiamo dighe, camminiamo su camminamenti scarichi d’acqua, qualche rigagnolo scorre annoiato. Lago Nero, lo chiamano da queste parti. E con le nuvole a specchiarcisi sopra non c’è colore più adatto, oggi.
Vediamo il bivacco, spettrale sagoma nella nebbia, un conforto tuttavia, la pioggerellina scende e inzuppa, vogliamo solo ripararci un po’ e mangiare un boccone, prima di tornare a valle. Siamo persi nel grigio, oggi, eppure chissenefrega. Il morale è alto, la truppa avanza, pancia piena e un po’ di chilometri davanti agli occhi e la valle, laggiù, che tra gocce di pioggia si denuda e si mostra a noi, che oggi, qui in questa valle, siamo soli a camminare.
Arditi sentieri su cui fare attenzione, erbe flosce ma cariche d’acqua, piedi bagnati ma ce lo aspettavamo. Come se a bagnarsi tutti insieme ci si bagnasse di meno. Sorridiamo. Attacchiamo la discesa, non meno insidiosa della salita. Perché in salita, almeno, la gravità non ti si rivolta contro.
Scendiamo e scivoliamo, puntelliamo talloni per non andar giù di culo, un torrente scivola a valle alla nostra sinistra e una cascata ce la troviamo di fronte, dall’altra parte della valle.
Rimbalziamo, oggi, tra una sponda liquida e l’altra, ci sentiamo gocce d’acqua mentre rotoliamo in giù. Vogliamo calore, vogliamo cibo, vogliamo bere e brindare a questa giornata che, nonostante tutto, non ci ha fregati. Non erano una valida alternativa il divano o il letto. Anche da bagnati siamo felici di essere qui. In pochi, oggi, ma molto buoni, oggi.
Ritroviamo quella madre dei bambini della mattina che ci sfama, una stufetta a gas che scalda una verandina che dà sulla valle che si stiracchia e con le braccia sposta in su le nuvole, quelle basse della mattina. Respiriamo la valle. Nelle narici la giornata che abbiamo annusato per ore. Si svelano le cime e i picchi e le croci e gli alpeggi che riposano, nell’autunno, dopo la fatica estiva.
Fosse una musica, oggi, sarebbero dita che cadono sui tasti di un pianoforte, quasi a casaccio.
Un bambino che gioca a suonare Chopin.
Note nell’aria, e voci a cantarci sopra.
Nessuna melodia precisa, ad ascoltarla da vicino.
Ma prova ad allontanarti. Sopra le nuvole. E allora capisci tutto. Che le note sono solo sette, che noi eravamo solo in sette. Che non c’era uno spartito da seguire, ma in un movimento jazz abbiamo creato una musica bella. Che risuona ancora, da quelle parti, tra cascate e torrenti e funghi ed erba fradicia di pioggia.
E quel torrente, adesso, ce lo troviamo a destra.
Torniamo a casa.
Torniamo stanchi.
Torniamo felici.
Ci ritorniamo?
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