E’ tutta una questione di pelle.
Di pelle nuda a metà, maglie e pantaloncini troppo lunghi nella loro cortezza in questa giornata così calda che inizia a 1.600 metri e finirà a 2.600, all’ombra di una cuspide rocciosa che sarà meta e compagna di viaggio per quattro giorni interi. Pelle sudata dopo pochi passi, caldo umido di torrente che scorre verso valle, vittima di una gravità mentre noi la sfidiamo salendo e risalendo la corrente che ci freme dentro, entusiasmo elettrico in una giornata che inizia all’alba e chissà come e quando finirà.

E’ tutta una questione di pelle.
Di pelle che sfiora piante e pensieri, un’avventura davanti agli occhi e montagne tutt’intorno a noi sconosciute, viaggiatori già stanchi alle 10 del mattino dopo ore di autostrada, guard-rail e poi campi e ancora paesi e borghi e tornanti ed alberi che sfrecciano immobili da un finestrino socchiuso che pian piano scende man mano che si sale verso l’inizio dell’avventura così attesa e che, finalmente, è qua.

E’ tutta una questione di pelle.
Di pelle di mani che sfiorano altre mani in presentazioni nuove ed abbracci ritrovati, facce imperlate di gocce di sudore, fronte corrucciata alla prima salita, pelle di spalle che assaggiano gli spallacci di questi zaini già troppo pesanti e di strada, ancora, ne abbiamo fatta ben poca. Ma qualcosa abbiamo già fatto, troppo per tornare indietro, abbastanza per convincerci che la cosa migliore da fare, oggi, è andare.

E’ tutta una questione di pelle.
Della pelle dei piedi nudi in un lago a 2.000 metri, acque gelide e glaciali, neve che scioglie dai pendii opponendo resistenza al sole che cuoce oggi, a puntino, facce assonnate e pance vuote, un morso al solito panino in riva al lago, rocce levigate da ghiacci ed acque e strusciare di pesci nascosti, oggi, agli occhi di chi cerca ma non trova. Cerchiamo altro, allora, ed altro troveremo. Pace e quiete e silenzio e frusciare di vento tra rocce aguzze che puntano al cielo ma ben piantate per terra.

E’ tutta una questione di pelle.
Della pelle che tocca l’ultima neve, lingue scure di polvere e sassi affioranti, il fresco del bianco secco ricordo di un inverno che non è più. Neve che si appallottola nella pelle di una mano e in forma rotonda vola per aria a giocare a sorprendere il compagno di viaggio che cammina di fronte a te. Ed in tutto questo il primo tetto a punta, il primo rifugio, il primo passo di un’avventura che inizia da poco e non vorremmo finisse più.

E’ tutta una questione di pelle.
Di pelle che si sfiora tra coperte e letti troppo stretti, sembra la casa delle fiabe, una stanza di casa di bambole, noi troppo grandi o troppo giusti per avere lo spazio giusto per muoverci in libertà. E la pelle si incontra tra un asse di legno ed una coperta di lana mentre filtra dalla finestra l’ultima luce del primo giorno. Aspettiamo l’alba e la rincorriamo veloci su un viso a metà, mozzo, corriamo verso il sole che aspetta gentilmente che riprendiamo fiato per goderci la meraviglia del mondo che si sveglia, oggi, quassù.

E’ tutta una questione di pelle.
Di pelle nuda di gambe abbronzate che strisciano contro rocce che lasciano segni che sembrano graffi di animali preistorici, unghie affilate questi sassi, delicata questa pelle, rossa questa goccia di sangue come il sole dell’alba, c’è da stare attenti mentre camminiamo tra questo paesaggio istrice, aculei da sfiorare con la pelle delle punta delle dita. Delicatamente.

E’ tutta una questione di pelle.
Di pelle scoperta in riva ad un altro lago, sempre acqua è ma cambia tutto, è il momento del bagno e del bagno di sole, pelle profumata di crema solare che non sembriamo nemmeno a 2.000 metri, ancora, ma in riva al mare. Mancano ombrelloni e fette d cocco, se chiudi gli occhi ti sembrerà d’essere altrove, non fosse per il profumo di prati e rocce che solo a 2.000 metri puoi sentire (nasce il Po a pochi metri da qui, ma non è questo lago che lo alimenta, o forse si).

E’ tutta una questione di pelle.
Di pelle ancora sudata a salire un impervio sentiero sotto il sole cocente delle due del pomeriggio, tra rocce e sassi e bestemmie e denti stretti saliamo alla seconda casa, la seconda base, la seconda volta che desideriamo arrivare e non arriviamo più, mentre saliamo verso quelle montagne che sembrano incazzate, sembrano volerci far paura da quanto sono alte e scure ed ardite. Ma stambecchi leccano sassi e sono occhi grandi e rotondi e guardinghi che ci accolgono e non possiamo aver paura, quassù, a 2.700 metri sul livello del mare.

E’ tutta una questione di pelle.
Di pelle che stringe altra pelle che stringe catene che stringono mani che sembrano cadere ma che in fondo non cadranno mai. A stare attenti a dove si mettono i piedi. Canali innevati ci portano giù, Postini incazzati ci riportano su, verso un Buco antico che ci porta nel ventre della montagna, violata 544 anni fa, presa a picconate e scavata e caparbiamente vinta per fare passaggio e trapasso tra nord e sud, tra Italia e Francia, tra un “grazie” e un “merci”. Ci passiamo dentro, ci stupiamo dentro, ci stipiamo dentro, siamo troppi qui dentro che non vogliamo far altro che tornare alla luce del sole, dall’altra parte della montagna che ci porterà lontano da casa, oggi.

E’ tutta una questione di pelle.
Di pelle che profuma d’aglio e sedano e parole straniere, di sapori diversi, di montagne d’oltralpe che assomigliano, in fondo, così tanto alle nostre. Qualcuno litigò, anni fa, su chi dovesse accarezzare queste rocce così uguali, in fondo, da una parte o dall’altra di una cresta a metà. Non litighiamo noi, ma brindiamo con un vino che ha lo stesso sapore del nostro, ed il sonno che ci coglie improvviso è lo stesso italico e la notte ha lo stesso odore, le stelle fanno la stessa luce, anche da questa parte delle creste montane.

E’ tutta una questione di pelle.
Di pelle sciacquata alla bell’e meglio, di occhi strizzati alla luce del primo sole, di valli inondate dalla prima luce, di una montagna che oggi, per l’ultimo giorno, ci farà compagnia e tenendoci per mano, in una girandola da bambini, ad un certo punto quella mano la lascerà per farci tornare lì da dove siamo venuti, quattro giorni fa. Ma prima. Un’ultima cima, un’ultima dose di altezza, un ultimo tre davanti a tre zeri: saliamo e sbuffiamo, intorno a noi s’aprono le due valli che queste creste separano, svolazzano al vento due bandiere di colori diversi, guardiamo il Monviso, compagno di viaggio, per l’ultima volta quasi occhi negli occhi. Allunghiamo una mano e troviamo il freddo metallico di una croce, allunghiamo lo sguardo e troviamo la meta, in fondo, laggiù.

E’ tutta una questione di pelle.
Di pelle stanca che trova refrigerio su un prato, in un torrente che è lo stesso di qualche giorno fa, in una discesa che non finisce più, in una fontana di paese che sciacqua polvere e stanchezza da piedi e gambe e braccia, spallacci di zaino che anche basta, sai, dopo quattro giorni ad accarezzarci da mattina a sera.

E’ tutta una questione di pelle.
Quella che abbiamo toccato, quella che avremmo voluto toccare, quella che abbiamo sporcato, quella che abbiamo pulito. Quella che abbiamo ritrovato, quella che abbiamo odorato, quella che abbiamo sfiorato. Quella che abbiamo cambiato in così poco tempo che sembra una vita intera.


Le foto più belle della giornata


  • slide
  • slide
  • slide
  • slide
  • slide
  • slide
  • slide
  • slide
  • slide
  • slide
  • slide
  • slide
  • slide
  • slide
  • slide
  • slide
  • slide
  • slide
  • slide
  • slide
  • slide
  • slide
  • slide
  • slide
  • slide

Guarda la Photogallery completa su Facebook