Una fuitina d’amore, come direbbero da qualche parte. Una cosa organizzata alla bell’e meglio, senza troppe pretese, senza pranzo in rifugio, senza sapere chi e quanti di voi sarebbero venuti. Un giorno e mezzo per decidere, dentro o fuori, esserci o non esserci. Eravamo pronti a fare un’escursione in 4, siamo partiti in 18. Il rifugio Brasca in Val Codera era lì ad aspettarci, porte e finestre sprangate per far fronte all’inverno nella solitudine tipica dei rifugi di montagna in inverno.

Una fuitina d’amore, quell’amore per la natura, per i passi condivisi, per quella sana fatica che è sudore, si, ma è anche felicità. Una giornata senza pretese, come canterebbe Vinicio Capossela, una giornata di quelle meglio riuscite da quando camminiamo insieme.

Il posto è importante, certo, ma il gruppo lo è ancor di più. Aggiungi la magia della neve per tre quarti di escursione, una leggera traccia da seguire, un freddo becco che non è poi così becco, un sole invernale che scalda per finta, una valle e un bosco che, in questo biancore, sembrano usciti da una fiaba del nord.

Un gruppo perfettamente assortito, nessuno aveva voglia di correre, nessuna fretta, la strada lunga, la giornata pure, le frontali pronte ad entrare in azione al momento giusto. Un gruppo di amici vecchi e parecchi amici nuovi subito entrati in sintonia con tutti quanti. Un’atmosfera bella, quasi di magia, risate e parole cristallizzate nell’aria come nuvolette di fiato di bocca. E bianco tutto intorno, la neve che risveglia i sensi del bambino che è nascosto in noi, potevano mancare le palle e il pupazzo di neve?

E allora mi viene in mente che potrebbe essere, il titolo di questo racconto, “Onomutopia” e vi spiego perché.

Tin tin tin tin bastoni sui gradoni di Codera, centinaia, di quelli che se non ti ammazzano subito puoi fare dopo qualsiasi cosa, compresi i 24 km della giornata intera. Ciaf ciaf ciaf, passi nelle pozzanghere formate dalla neve che si lascia dolcemente cadere dalle fronde degli alberi, formando piccoli laghetti dove i nostri piedi non sanno nuotare ma ne escono ogni volta un po’ più bagnati e un po’ più felici.

Frush frush frush frush passi sulle foglie di un autunno che velocemente diventa inverno, quelle foglie di quel foliage di quell’autunno che ormai per terra tornano alla terra e ricominceranno a vivere chissà dove e chissà come e chissà perché. E’ vita, è natura.

Bla bla bla bla c’è tanto bla bla bla nell’aria, il fiato non manca per salire quei gradoni e chiacchierare con il compagno di viaggio buttando gli occhi ogni tanto alle montagne che incombono su di noi a volte minacciose a volte amichevoli e quel lago sotto così placido e così bello da guardare dall’altezza a cui siamo, una cappelletta alla Madonna ci accompagna con lo sguardo mentre proseguiamo il cammino.

Ciaf ciaf ciaf ciaf la prima neve che incontriamo è bella, soffice e farinosa, pulita e candida e ci chiama alle prime palle di neve e alle prime foto da mandare ad amici e parenti ancora probabilmente sotto le coperte di questa domenica mattina di fine autunno. La neve! La neve! Senti la voce del bambino dentro di te che urla forte LA NEVE! LA NEVE! E ce n’è tanta, parecchie decine di centimetri, ma di quella bella che si fa camminare e non rantola e non mugugna e non protesta per un passo che la calpesta e ne rovina biancore e forma.

Din don din don le campane del campanile del borgo di Codera (non hanno suonato, è vero, ma la fantasia può lavorare lo stesso), la Locanda e il caffè caldo e una fetta di torta e un camino enorme con un fuocherello mattutino che è quello che ci vuole per scaldarsi un po’ prima di riprendere il cammino. Anche la grappa di pino mugo dicono fosse molto buona.

E ricomincia dolce la salita, veloce a tratti e a tratti sfiancante, la neve è tanta e bisogna camminare nella traccia per non affondare fino al ginocchio ma che magia ragazzi e che silenzio e che pace, in tutta la valle saremo stati in 30 in totale, come fai a non godere di questa bellezza? Come fai? E poi altri borghi e altri rifugi e altre case serrate e accoccolate per l’inverno con la loro copertina di neve sui tetti, e gli alberi così bianchi e pittoreschi che sembra un racconto di Natale davanti ad un camino acceso.

E passi e passi e passi e passi e frush e frush e frush e cric e cric e cric e un ponticello di legno che lo passi e finalmente lo vedi lì, quel Rifugio Brasca meta della giornata, così solitario lì in cima alla valle e così bello che mancava solo la polenta calda e fumante per avere una giornata senza pretese ma perfetta.

La Compagnia c’è tutta, il pranzo al sacco molto freddo, la voglia di tornare davanti al camino della Locanda che galoppa, i piedi che battono e le dita delle mani che non le senti più.

Il resto è ritorno e passi all’indietro e paesaggi che andando non hai visto e tornando te li metti in tasca e te li porti via verso casa.

Il resto è una pausa veloce, un tramonto rosso che sembra finto, le cime dei monti arrossate dall’ultimo sole, i gradoni ridiscesi, occhio a dove metti i piedi, c’è ghiaccino in giro, qualche scivolone, qualche chiappa per terra, accendi la frontale, silenzio, il buio cala presto, il bosco si infittisce, siamo diventati lucciole, fresco, poi freddo, poi il parcheggio le macchine i saluti un paio di scarpe asciutte e pulite gli abbracci le strette di mano i grazie e ancora grazie e tutto finisce lì, nel silenzio riflessivo della macchina che volge i fari al ritorno verso casa.

Gruppo perfetto da volerne ancora. Utopia? Onomatopea di suoni della giornata. Onomutopia.


Le foto più belle della giornata


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