Per un pugno di formiche volanti, più affamate di noi di quanto noi fossimo affamati di bellezza.
Per un trio di pappagalli al guinzaglio, più sorpresi dell’alta quota di quanto noi fossimo sorpresi da tanta bellezza.
Per un tris di cime, tre punte e tre croci, tre salite e tre discese, due passi in mezzo, due passi veloci in una giornata che inizia all’assalto di una mulattiera, fiato corto sin da subito finchè spiana, ma non spiana veloce, spiana quando vuole lui, spiana dopo la prima croce, quell’Avert così snobbato eppure così caruccio nella sua solitudine, fratello minore insieme al Benfit di quel Timogno che, anni fa, avevamo lasciato ammantato di neve e ritroviamo, oggi, splendente di caldo e di sole.
Saliamo e scendiamo, sudiamo e sbuffiamo, pompiamo forte aria nei polmoni e respiriamo calmi su quella cresta che cola a picco in un mare di verde, sprazzi e spruzzi di roccia a ricordarci che siamo, in fin dei conti, più che lontani dal mare.
La giornata è tutta lì, in quello “stac!” e “sdeng” di una pallina bianca che rotola su un vetro verde, metallici scoppi ad ogni imbucata in porta, noi che torniamo bambini, per una volta, meno sudati e più felici di lasciare che pelle e pensieri si distendano al sole di questa giornata d’agosto che sembra, esattamente, agosto.
Le girelle non sono consentite ma chissenefrega. Se è per questo nemmeno andar veloci, e chissenefrega. Nemmeno bere 3 birre una dietro l’altra, chissenefrega. Della panchina gigante non parliamone nemmeno. Roba da merenderos. E chissenefrega ancora. Una giornata sui generis, oggi le regole cadono a terra senza forza, abbiamo fatto quello che dovevamo fare, lo abbiamo fatto bene, lo abbiamo fatto velocemente. Well done, guys. Vi avevamo avvisato che sarebbe stata un’uscita tecnica. E’ arrivato il meglio della Compagnia. Corpi sodi, gambe forti, teste concentrate su un unico pensiero: quel tris di cime che, come da menù, prometteva sazietà e sazietà ha portato.
Ingordi abbiamo ingoiato metri e dislivello, avidi abbiamo agitato forchette e racchette, veloci abbiamo sgranato e sbranato quelle creste come il rosario della domenica mattina. C’eravamo, eravamo forti, eravamo uniti, eravamo tutti.
Era una promessa antica, caro Timogno, di tornare a prenderti. Da marinai ci siamo imbarcati per terre lontane, abbiamo navigato in lungo e in largo, ti abbiamo girato intorno, guardato dalla Presolana e dal Ferrante, dalla Vigna Vaga e dal Mirtillo. Eri lì, fermoimmobile come uno scatto d’altri tempi, ad aspettare il nostro ritorno.
Era la promessa antica che ti avremmo ripreso e con te i tuoi compari, Avert e Benfit, il gatto e la volpe. E le formiche volanti alla croce, fastidiose quasi quanto quelle gambe inchiodate alla ripresa di ogni salita dopo un momento – un momento soltanto! – di pausa al passo.
“Una birra por favor, una cerveza a malincuor”, picchia il sole a quest’altezza, sberle sul coppino che si arrossa, nuvole niente o forse qualcuna ma non c’è cattivo tempo da queste parti, oggi. Né freddo e piedi umidi che ci eravamo portati dietro per ore, qualche anno fa. Né tappeto di nuvole a coprire la valle, oggi è tutto in vista, una sposa all’altare, non c’è velo che nasconde occhi belli e sguardo profondo, persi ed annegati in un mare a testa in giù.
Vuote le piste da sci della discesa, senza neve la montagna non ha senso, per qualcuno. Rotoliamo a valle veloci, ci aspettano gli scarpinocc, special guest della giornata, un bagno di folla per prelibatezze locali, il paese vestito a festa e noi puzzolenti e sudati, sembriamo proprio marinai capitati per caso, o per volontà, alla festa del patrono per portare scompiglio e odor di vissuto.
Una giornata sospesa come il caffè a Napoli, distesi muscoli e pensieri. Baciata la pelle dal sole. Ridere e scherzare, bere e mangiare, essere felici, non pensare a niente, camminare e andare. Non ci vuole tanto, in fondo, per vivere la vita senza respirare male. Che ne dici, la smezzi una birra con me?
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