Ha un suono simile alle punte delle bacchette sulla roccia il ticchettio dei tasti del portatile. Salgono e scendono anche loro mentre si srotola il racconto, saliamo e scendiamo anche noi mentre ci srotoliamo al sole, quel sole timido di quella giornata, in quel del Tre Signori che non si vede ancora dal punto di partenza del cammino che durerà quanto ci meriteremo di stare bene insieme.

Le bacchette sono sempre le stesse da tre anni a questa parte. Ho cambiato scarpe, pantaloni, magliette, gilet. Occhiali da sole ne ho rotti un po’ e nei più svariati modi. Ho cambiato guanti, ho cambiato cappello, ho cambiato taglio di capelli, mi sono fatto crescere la barba per proteggermi dal freddo, in quel delle alte montagne su cui mi perdo, ogni fine settimana come fosse il primo.

Le bacchette sono sempre le stesse, un po’ storte, acciaccate, a volte stanche, sporche, la punta spuntata dalle mille e mille volte che le ho puntate forte per non cadere, hanno qualche segno che il tempo e gli sforzi hanno lasciato loro addosso. Le bacchette sono sempre le stesse e più volte le ho riparate per dar loro una nuova vita come più volte ho rimediato ferite che prontamente ho curato.

Mi tengo cicatrici e segni, li osservo di sottecchi nel timore di vederle sanguinare ancora, un giorno, ma non è oggi quel giorno. Non si vede ancora il Tre Signori, nascosto da altre cime e dal bosco, dalle dighe e dalle pietraie che risaliamo oggi come salmoni controcorrente, vai a capire questa strana voglia di faticare e sudare in salita quando sarebbe così semplice, in fondo, tornare giù

Un conto aperto, con il Pizzo dei Tre Signori. Spiacenti, signori miei, ma avevo fatto una promessa a me stesso e ai miei amici, che la prossima volta che avrei iniziato a salire verso di voi sarebbe stato per raggiungervi e stringervi la mano e dirvi, ancora una volta, “eccoci qua”. Anche se avete provato a nascondervi tra le nuvole. Anche se avete provato a cacciarci via in malo modo con gocce di pioggia che diventano chicchi di grandine. Anche se ci avete negato il panorama ma noi, quel panorama, ce lo portiamo dentro. Lo sfoderiamo tutte le volte che non vediamo niente, lo proiettiamo di fronte a noi per rallegrarci e dare un senso a questo faticare. Spiacente, Signori miei. Vano tentativo il vostro, di farci desistere dal venire a voi.

I conti vanno saldati.
Gli anelli son rotondi perché ogni punto è vicino al suo compagno di cammino.
E i cerchi si chiudono.

Lunga la salita come è lunga la discesa ma gli sprazzi di panorama intorno a noi ci danno quella forza e quella voglia e quella volontà di arrivare lassù e vedere se davvero, da lassù, non si vede niente. Abbiamo sperato forte di stare sopra le nuvole ma le nuvole, quel giorno, erano basse apposta per noi.

E chissenefrega.

Il panorama lo conosciamo.
Quello che non sappiamo, non conosciamo, è il sorriso di chi cammina con noi oggi, nuovo amico che risale con noi questa corrente, ne godiamo ogni attimo perché chissà quale affluente prenderà, di questo fiume, in un qualsiasi momento della salita. Annaspiamo in un sudore che è gocce di nuvole basse che non capisci nemmeno cosa mettere addosso o cosa di dosso togliere, oggi. Persi in un limbo di estate e autunno che non decide cosa vuol fare da grande.

Noi abbiamo solo piccole mete da raggiungere, tappe intermedie a dar sollievo, un lago, una diga, un rifugio, una corda, una croce. Noi abbiamo solo un’idea oggi, di portare a termine quello per cui siamo venuti fin qua. E l’avevo capito subito che noi, oggi, ce l’avremmo fatta. Una rivincita. Una vendetta. No, semplicemente, una gran voglia di accarezzare quella croce, una gran voglia di sentire quale canzone avrebbe iniziato a suonare, una volta lassù.

Volevi un racconto lungo, baby?
E allora ci vuole una lunga giornata.
Una di quelle che di roba dentro ne accumuli tanta. Ma proprio tanta.

La penultima volta che siamo venuti da questa parte ci siamo dovuti arrendere alla bellezza del rifugio Falc. Pioggia, fuori dalle finestre su cui oggi splende il sole, e neve in cima dove oggi è solo nubi. Ma niente neve, almeno.
La penultima volta che siamo venuti da queste parti, ad un certo punto del sentiero, prima del primo lago, solo, nella caligine di una mattina grigia, una voce dentro che inizia a sussurrare “cazzo ci fai, qua, oggi?
Bella domanda, quella volta. Rimasta senza risposta. Rimasta a terra, da qualche parte sul sentiero tra il primo lago ed il secondo, un punto interrogativo che si distende alla vista della bandiera del rifugio che sventola controvoglia in un alito di vento che porta nuvole pesanti e non ha la forza di riportarle via. Ma spuntò il sole, quel giorno, nel pomeriggio, mentre attaccavamo la Bocchetta di Varrone per tornare sui nostri passi, solo un po’ più in là.

L’ultima volta che siamo venuti qua pioveva. Eppure partimmo lo stesso, ormai siamo in ballo e allora balliamo, baby. Pioveva che Dio la mandava. Risalimmo la Valle d’Inferno sotto la pioggia, fino ad arrivare poco prima della Bocchetta d’Inferno, una lingua di neve insidiosa e sboccata, bestemmie tra i denti per non poter andare avanti. Niente da fare, si torna indietro, anche oggi hanno vinto loro. E i Tre Signori a sogghignare da lassù, appoggiati alla croce che non si vede ma c’è. Fidati, che c’è. Sventolano bandiere tibetane sfilacciate dal tempo, appese alla croce a portar conforto e parole che non capiamo ma sentiamo che sono belle, si.

Non sento la musica.
Sento il battito del cuore.
Sento il ticchettio delle bacchette consumate sul fondo irregolare di questo sentiero che ci riporta giù.
In bocca ancora il sapore della pasta mangiata al caldo del rifugio Falc, immagino il silenzio della notte quando gli amici sono tornati giù.
Elisa sorride, appoggiata con le braccia al davanzale della finestra che dà sulla valle, una tazza di the tra le mani a scaldare e dare pace ad una giornata che, grazie Dio, per avercene regalato ancora.
Nube si chiama il cane del rifugio.
Di soppiatto scivola sotto i tavoli a spazzolar molliche e questuare un pezzo di carne.
Accoglie tutti con uno scodinzolio. Nonostante l’invasione continua di casa sua, è contento di avere attorno amici, ogni giorno, nuovi. E riconoscere tra mille odori quelli di chi, qualche tempo fa, gli accarezzò la testa e gli spostò i peli dagli occhi per vederne il colore.


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