Avessimo dovuto volare, il buon Dio ci avrebbe dato le ali. E invece no, ecco la fregatura, da un certo punto di vista. I piedi. Non le ali. Piedi per camminare, per sudare ogni metro di questa salita, una salita che solo ad un certo punto si svela per la sua stronzaggine, finché sei in valle sembra tutto così bello, così bucolico, l’erba, le mucche, il ruscello che scende dal fianco della montagna. E ad un certo punto eccola lì, la salita. Sparisce l’erba, spariscono le mucche, compaiono le capre, ben più agili delle parenti bovine, ben più brave a trovare erba lì dove erba pare non ce ne sia.
Scompare l’erba ed iniziano i sassi, roccia dura e intera da sempre in lastroni immutati nel loro grigiore e poi a pezzi frantumati da un ghiacciaio che non c’è più, forze invisibili oggi che rotolandoci sopra l’hanno ridotta a pietre affilate che gli scarponi calpestano con rumore e scricchiolio che picchia dentro come un mal di testa ma: eccolo lì, in alto, quel bivacco che è meta e punto di passaggio di questa giornata, un puntino sospeso tra roccia e cielo, così lontano da raggiungere che ti scappa un sospiro, e pensi, lo so, chi me lo ha fatto fare.
Perché il buon Dio ci ha dato i piedi per camminare e quindi cammina: prendi il ritmo, respiro, passo, respiro, passo, pausa, sorso d’acqua, respiro, passo, curva a destra, curva a sinistra, il bivacco è lì che guarda beffardo come a dire “non mi prenderai mai”. Respiro, passo, respiro, passo. Ultima salita. Poi ci arrivi, che pare un sogno, un miracolo, una vittoria, una meta. Ci arrivi e ti guardi intorno, ti guardi indietro e pensi “ecco chi me l’ha fatto fare, ecco perché sono qui”.
Un ghiacciaio morente di fronte, tre cime intorno che guardano dall’alto con sguardo di sfida ma oggi no, non è il loro momento, oggi arriviamo qui, al bivacco e poi si scende da un sentiero che inizia con una catena come a dire “stattentattè, che qui non si scherza mica”. E ancora pietre e roccia che viene giù, e salti da un sasso all’altro e ne scegli uno che sembra migliore dell’altro ma migliore non lo è, un fiume che scorre con un impeto che non trova nella forza del ghiacciaio che si scioglie, acqua bianca di sali minerali e rocce affilate arrotondate dall’acqua che da sempre scorre, almeno in questa parte di mondo, questo mondo che di acqua oggi ne ha bisogno come non mai, un fiume che non trova forza e scorre placido fino al salto, lì dove diventa quasi cascata per andare al lago e diventare forza generatrice di energia.
E noi scendiamo e i sassi finiscono, inizia l’erba, un sentiero che ci stiamo inventando al momento, qualche bollo sui sassi grossi, visibile, per carità, ma il sentiero non c’è, chissà quand’è stata l’ultima volta che qualcuno è passato di qua. Un cammino in discesa lungo e faticoso, un grazie doveroso alle nuvole che ci proteggono dal sole che altrimenti ci saremmo cotti a puntino, in questi 2.000 metri che sembrano pianura tanto caldo fa.
Scappiamo dal caldo, dalla monotonia, da una settimana di lavoro che potrebbe essere l’ultima ma che non lo è, scappiamo da chi o da cosa non si sa, scappiamo da noi, e questo lo sai benissimo anche tu. E per un giorno lasciami l’illusione di stare bene, un giorno che vorrei non finisse mai e lo allungo stiracchiandolo con un aperitivo al lago, un caldo becco che mai più ma quant’è buona quella birra e quello spritz e quant’è bella questa compagnia di amici ritrovati, quasi a sorpresa al lago, ad un tavolo di un bar, a brindare tutti insieme a questa piccola magia che è una giornata in montagna, a faticare, in Compagnia.


Le foto più belle della giornata


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