Non bisogna credere alle favole, ma per vivere meglio bisogna avere in testa una favola a cui credere. Questa è la nostra favola, durata due giorni, iniziata a Carona, finita a Carona, intervallata dal Rifugio Longo, dal Passo della Selletta, dal Passo di Valsecca, dal Rifugio Calvi. Da una notte passata in rifugio, eravamo in diciotto, partiti in ventitré. Nessun disperso per fortuna, la vita per qualcuno era anche altrove, ma ciò non toglie il bello dello stare insieme anche poche ore.

I bigliettini con i nomi per sorteggiare le stanze, da 4 da 6 da 8, totale 18, appunto. E’ la sorte che decide di chi ascoltare il respiro pesante della notte, gli odori di una giornata camminata, salita, discesa, bagnoschiuma e dentifricio, grappa e amaro, il Lago Rotondo arrotondato di notte al chiaror delle frontali, a cercare animali invisibili nella notte, a cercar di digerire pizzoccheri e bocconcini d’asino e polenta.
Il fiato che condensa nel fresco di una notte buia e senza stelle, presagio di un indomani piovigginoso ma a noi non importa niente, siamo bardati e pronti a tutto. Saremmo dovuti andare dal Calvi al Laghi Gemelli per chiudere l’anello, siamo finiti a Branzi a mangiare polenta e funghi porcini. Gambe comode sotto al tavolo, vino nel bicchiere, stanchezza nelle gambe, sorrisi agli angoli della bocca.
E’ iniziato bene, è finito meglio. L’entusiasmo che diventa ennesima conferma di quanto insieme si possa stare bene, ad avere solo voglia di stare con gli altri, ascoltarli, farsi ascoltare, bestemmiare sottovoce per quella salita così salente, ringraziare Iddio per quel masso all’inizio della discesa che ospiterà la pausa pranzo.

Cavalli che guardano dall’alto, sagome disegnate contro montagne abbracciate da nuvole basse, ciuffi d’erba che sembrano tundra. Dove siamo? Orobie o Scozia? Un rapace ci guarda dall’alto, uno stambecco i affaccia dalle rocce, qualcuna rotola, l’orecchio si fa curioso, gli occhi lo vedono.

E ti dico di non fidarti del primo sconosciuto che ti invita a camminare, ma è bello scoprire che quello sconosciuto, forse, aveva ragione. Ce la fai, ce la puoi fare, ce l’hai fatta, no? Adesso dimentica la stanchezza, pensa a quanto bella è stata questa esperienza. Ce l’hai fatta. Sudando, bestemmiando, incazzandoti, un passo dopo l’altro, una bacchettata dopo l’altra, tre passi una sosta, tre passi una sosta, qualcuno ti sospinge da dietro, canzoni cantate a squarciagola per non pensare alla fatica, tu arranchi ma non ti fermi, lo zaino passa di spalle in spalle, adesso è il momento di aiutarsi, non di fare filosofia spiccia. L’orgoglio va messo da parte, quando non ne hai più, se vuoi andare avanti, devi affidarti a chi ha orecchie per ascoltarti e braccia e cuore più forti per aiutarti. E di gente così ce n’è, fortunatamente, sappi che la cacca l’abbiamo ingoiata tutti, ma tutti siamo riusciti pian piano a sputarla fuori, un boccone alla volta, l’abbiamo condivisa, raccontata, ce ne siamo svuotati, siamo diventati più leggeri. E la mente più leggera ragiona meglio e il cuore si può lasciare andare a battiti più potenti.
Il silenzio della notte è come ce lo aspettavamo, finestre a doppi vetri a tenere dentro il chiacchiericcio della Compagnia che ride e scherza e si affiata ogni ora sempre più. Il silenzio della notte stanotte è veramente silenzioso, gli animali dormono, qualche stella ogni tanto fa capolino da dietro le nuvole, una sigaretta si consuma nel fresco di questa notte di inizio ottobre. Aria pulita, aria di montagna, una fontana gorgoglia da qualche parte, sembra un fiumiciattolo incessante ma è solo una fontana. Per chi non ha immaginazione, per chi non crede nelle favole, per chi non ha una favola in cui credere.

Non è solo fisica, tutta questa storia: è tanto cuore e tanto sentimento, è la speranza di avere a fianco le persone migliori che queste montagne possano regalarci, la speranza di averne trovata qualcuna, la certezza che tante ancora ne potremo trovare. Non è solo gambe e polmoni, è soprattutto testa e volontà, saper urlare a se stessi “ce la posso fare e ce la farò”. Anche se finisci a gambe all’aria su una roccetta scivolosa, su un guado infido che ti manda il culo a mollo, su un sentiero che non porta da nessuna parte e devi tornare indietro, su un passo che sembra enorme e poi lo fai e dici “tutto qua?”

26 km, 1400 di dislivello circa, sono solo numeri quando hai voglia di andare, di far camminare le gambe ferme per una settimana sotto una scrivania. E ci sono numeri non contabili come 20 persone per 2 gambe a testa più 2 bastoni in aiuto più mille pensieri dentro ognuno.
Sai che c’è? Lasciamo perdere la matematica, e perdiamoci nella poesia…


Le foto più belle della giornata


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